Cos’è la bellezza? Concetto ideale del tutto soggettivo nella sfera concreta, assioma tanto astratto da caricarsi di pura relatività. Cos’è definibile “bello” in modo tanto assoluto da non essere vittima di contesto, canoni, tradizioni e divenire? È “bello” se sta dentro schemi o se ne piega le sbarre? È “bello” se condiviso in massa o esaltato nella sincera dimensione soggettiva? È “bello” se bella ne è l’apparenza? Quanta essenza in ciò che appare? Quanto ciò che è appare? Questa percontatio ciceroniana mi spinge a rispondere come i vecchi saggi “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Cosa piace? A chi deve piacere?
Se ci riferissimo al singolo poco resterebbe da argomentare, poco sicuro il metodo induttivo, dal particolare al generale, facilmente confutabile. Bisogna dunque procedere con il metodo aristotelico, deduttivo, per giungere al fenomeno particolare muovendo dall’osservazione del generale, della massa, di quella folla manzoniana che, spinta dal vento della necessità si sposta ora di qua, ora di là non curante dei singoli che la compongono. Dal comportamento di questa vengono fuori quei bisogni ed ideali condivisi, specchio comune di entità particolari, macchiato e logorato da falle ereditarie e pronto ad essere consegnato senza restauro ad un’epoca del tutto nuova. Specchio, specchio qual è il bello che vige sul reame? Fermo, non rispondere, che non sia proprio tu la causa di tanta uniformità? Mi spiego. Che la formica riflettendosi in te con tante cicale non voglia anch’essa divenire cicala? Che non muti le sue priorità d’insetto imenottero in ideali da cicala? Forse sei tu, Specchio, causa di tanto cambiamento? E la formica comincerà a saltare cantando dietro l’eco di tante. Tu, incosciente specchio ne hai mutato l’essere, rendendola vittima di un ideale altro.
La corsa per un “bello” socialmente condiviso ci ha resi oggi schiavi di un estetismo totalmente plastico e artificiale che nulla rispecchia dell’essere ma rimarca punti di luce e ombre di maschere pirallendiane in continua definizione. Vittime di un sistema che ci compone, ne siamo figli e genitori, spirito e contestatori, artefici e succubi di una schiavitù intellettuale nella quale non so se ci sia possibilità pratica di scelta, sebbene io porti avanti la bandiera sartriana.
Credo si possa scegliere intellettualmente per il distacco, concretamente riconosco il nostro immenso limite. “bello” oggi è pura apparenza, ciò che rispetta i canoni più approvati o ciò che si finge autentico per adattarsi ad altri meno condivisi.
Ευρηκα! Il bello è l’autentico! Il genuino che nasce da dentro e qui dimora. È espressione, anche materiale, dell’individuo per ciò che è. D’obbligo sono delle considerazioni: Quanto influenza il contesto? Quanto questo plasma come pressione esercitata perpendicolarmente su un solido, quell’autenticità appena partorita? “Il cielo pesa come un coperchio” scrisse Baudelaire. Questa forza che comprime toglie volume, ci rende reticolato di micro particelle in agitazione, protese al raggiungimento di un equilibrio. Soggetti ad un’equazione di stato tanto determinante da incastrare anche minime variazioni. Keating diceva che l’arte, la poesia, insegnano la bellezza, perché frutto, figlie di Autenticità. Causa materiale, formale, causale e finale di un travaglio personale, c’è forse dell’autentico nell’oggi? Mi sembra di vedere l’intera umanità stretta in un grafico di una funzione seno o coseno, viaggia periodicamente all’infinito lungo l’asse delle ascisse, ha un dominio illimitato ma un codominio che non permette di andare oltre la cresta o al di sotto del ventre. Funzione imperfetta che limita l’autentico, limita ogni forma di pura ribellione.
Richiamando poi in nostro mondo classico sono consapevole della minima rintracciabilità, ormai, dell’ideale di καλος και αγαθος. questi seguono linee diverse, raramente l’una asintoto dell’altra, di certo mai intersezione. È su queste monorotaie che spetta a noi una scelta: etica o estetica? Proprio come nell’ Aut-Aut di Kierkegaard. Lungi dal mimetismo batesiano, tentando di fuggire alla funzione, scelgo la bellezza dell’intelletto e della morale.
Martina Giglio