Perché parlare ancora del libro “Il ritratto di Dorian Gray” a più di un secolo di distanza?
Forse per sua complessa genesi editoriale?
Questo romanzo è stato scritto da Oscar Wilde e pubblicato per la prima volta nel 1890, presso la rivista Lippincott’s Monthly Magazine. Non tutti sanno però che questa rivista censurò alcune parti ritenute non adatte per il pubblico e la cultura dell’epoca (ad esempio, evidenti riferimenti all’omosessualità del protagonista).
Un anno dopo, nel 1891, venne ripubblicato, questa volta sotto forma di romanzo. Fu in quell’occasione che subì una seconda censura proprio da parte del suo autore, che eliminò alcune parti e ne aggiunse altre, per raggiungere le centomila parole richieste dal suo editore.
Leggendolo si ha quasi la sensazione che manchi qualcosa, è come se, inconsciamente, si andasse alla ricerca di quelle parole non dette, di quei concetti solo accennati e poi non approfonditi.
“Il Ritratto di Dorian Gray” rientra, quindi, nella categoria dei romanzi pubblicati quasi per miracolo, a dispetto della mentalità chiusa dell’epoca.
Forse per le tematiche affrontate?
Una volta letto non si può fare a meno di pensare a quanto risulti incredibilmente e spaventosamente attuale. I temi trattati e le riflessioni che Wilde propone rispecchiano anche la società odierna.
Una frase di Oscar Wilde, più di tutte, risulta valida anche oggi: “La gente terribilmente all’antica è incapace di capire che viviamo in un’epoca in cui solo le cose inutili sono veramente indispensabili.”
Infatti, nella società di oggi, molte volte l’apparire è considerato più importante dell’essere. Un esempio lampante potrebbe essere la diffusione, nell’ultimo decennio, dei social network, che hanno favorito l’incremento di questa continua lotta tra l’essere e l’apparire. Lotta che è poi l’argomento principale di questo romanzo: Dorian Gray sviluppa una vera e propria ossessione per la sua bellezza, arrivando addirittura a sacrificare la purezza del suo animo. La sua è, quindi, una spasmodica ricerca della giovinezza eterna e di tutto quello che comporta. È proprio il suo personaggio, moralmente ambiguo, a mostrarci che una persona di bell’aspetto non necessariamente presenta anche un’anima altrettanto “bella”.
L’apparire non è, quindi, lo specchio dell’essere.
Forse perché la letteratura è vita?
Nel 1895, Oscar Wilde accusò di calunnia John Sholto Douglas, padre di Alfred Douglas, con cui lo scrittore intratteneva una relazione dal 1891.
Il processo si ritorse però contro lo stesso Wilde. Gli investigatori della difesa trovarono, infatti, prove e testimonianze sufficienti a confermare la sua omosessualità e Oscar Wilde fu condannato a due anni di carcere per sodomia.
Emerge, tuttavia, un dettaglio interessante: una delle prove che vennero portate in tribunale contro Wilde fu proprio il suo stesso libro, Il ritratto di Dorian Gray.
É in questo momento che ci si rende conto che, proprio come il famigerato dipinto era lo specchio dell’anima di Dorian Gray, il libro di Oscar Wilde riflette l’essere stesso dello scrittore quasi perfettamente. Si potrebbe forse parlare di un romanzo dal carattere psicologico: ogni personaggio principale rappresenta una parte del carattere e dell’essenza di Oscar Wilde. Lo stesso autore, in un certo senso, ammise questo fatto, pronunciando la celebre frase: “Basil Hallward è quello che credo di essere, Herny Wotton è come il mondo mi dipinge e Dorian Gray è quello che mi piacerebbe essere.”
Magari Dorian Gray non sarà riuscito, nonostante il suo patto col diavolo, a vivere per sempre nel limbo della giovinezza, ma Oscar Wilde è riuscito a rendere immortale questo romanzo, che fino ad ora ha resistito allo scorrere del tempo.
Elena Carzan,2D