INTERVISTA A FRANCESCA LA MANTIA,SCRITTRICE,REGISTA,BAGHERESE,EX ALUNNA DEL NOSTRO LICEO
Perché ha deciso di scrivere libri per bambini anziché per gente più grande?
A questa domanda posso rispondere in modi diversi, per esempio dicendo che c’è un bambino dentro ognuno di noi, perché l’inconscio è sempre bambino; dicendoti anche che probabilmente i bambini a volte sono più adulti. Ma soprattutto che ai bambini arriva subito un messaggio, perché loro non hanno grigi, loro sono netti; non ci sono le banalità del “ma”, del “se”, del “poi”, ma riescono ad andare subito nel cuore del problema e semplificarlo.
E allora è solamente tramite i bambini che arrivi agli adulti. Ecco perché scrivo per bambini.
La sua vita è cambiata dopo aver scritto questi libri, per esempio nel modo di porsi e nelle relazioni con i bambini?
La mia vita è totalmente ribaltata. Uguale dal punto di vista economico, perché scrivere per bambini e scrivere di cose sociali non ti ribalta lo stipendio.
È cambiata dal punto di vista relazionale (famiglia, amici…) perché scrivere è un lavoro che ti impegna tantissimo, perché è un lavoro che è passione. Tra l’altro io penso di essere una delle poche autrici (e non è un pregio probabilmente) che durante e dopo il lockdown ha girato l’Italia: durante il lockdown tramite incontri online con scuole di tutta Italia ogni lunedì, mentre poi sono salita in macchina e ho girato l’Italia.
Questo perché credo che scrivere vuol dire conoscere, e la conoscenza fisica è mettersi in gioco, metterci la faccia è, a mio parere, fondamentale per un libro, affinché il libro viva.
C’è stato qualcosa da cui ha preso inspirazione per scrivere i suoi libri?
“Una divisa per Nino” nasce dal film che ho girato che si chiama “La memoria che resta”; questo film io ho girato di 200 ore, ma mi era rimasto 199 ore di girato. Non potevo regalarlo alla Rai, agli archivi o alle biblioteche, ma potevo farlo diventare un contenuto fruibile a tutti. Ma come raccontare la guerra oggi? Probabilmente mettendomi nei panni di chi soffre di più, perché alla fine a pagare le spese di carestie, guerre, covid, fame etc. sono sempre gli anziani e i bambini.
Durante la quarantena ha avuto nuove idee su libri da scrivere per bambini?
Esattamente. Durante la quarantena ho scritto “La montagna capovolta” e anche “La mia corsa”.
Durante la crescita, durante il periodo scolastico, si è mai sentita a disagio nel parlare delle sue ambizioni a qualcuno?
Durante il periodo scolastico non avevo questa passione per la scrittura, però se tu hai questa passione durante questo periodo devi farla crescere. Potrei anche consigliarti di intraprendere delle strade specialistiche.
I suoi libri sono arrivati ad un pubblico di bambini di altri paesi?
Assolutamente si, ci sono stati molti articoli che sono arrivati in Francia.
Oltre ai libri adesso scrivo anche testi teatrali, mi occupo di editoria giornalistica e mi sto dedicando anche ai documentari e podcast, perché voglio raccontare storie, poiché molte di esse devono essere raccontate.
Le è mai capitato di immedesimarsi in un personaggio?
Si mi è capitato di immedesimarmi, ma non in un personaggio, bensì in una storia. Ho scritto un libro che uscirà a marzo intitolato “la strage di Linate”, la più grande strage della reazione civile sommersa come la caduta del ponte di Genova.
Il periodo della mia esperienza al liceo classico è stato un periodo particolare, come penso sia accaduto a tutti.
L’adolescenza non è stata facile , per me è stato un disastro, una sorta di ricerca continua,di voglia di capire “chi sei”.
Questo capire chi sei non arriva mai, neanche in età adulta, infatti molti adulti sono in un certo modo ancora “adolescenti”. Stare in dei parametri che hanno dei rigidi paletti per me vuol dire non crescere. La crescita è una cosa continua, un percorso continuo.
Per me il liceo classico è un continuo mettere in dubbio “chi sei” e chi “non sei”.
La cosa che ricordo di più del liceo classico è quell’interessamento a temi che ai miei coetanei non interessavano, quel mio amore proveniente da mio padre, al cinema, alla letteratura, quel leggere sempre oltre le righe e questo mi ha sempre premiato.
Questo ricordo, il non essere all’interno degli schemi predefiniti dalla scuola, dall’adolescenza e dal contesto storico, dai ceti sociali, e questo amore dei docenti che guardavano oltre le righe.
Mi sono definita ARTIVISTA perché, a mio parere, l’arte non deve essere fine a se stessa, ma è un’attività che ha dei fini sociali.
Un’attivista che fa arte, un artista che è un’attivista.
Sara Sanfilippo,Myriam Cinà,Giulia Catania,1B