Premessa

In occasione del primo convegno  organizzato dalla rete provinciale della “M.O.D. scuola”  (sezione didattica della ‘Società Italiana per lo Studio della Modernità Letteraria’) I giovani leggono Elsa Morante, svoltosi il 18 aprile 2023, presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo, le cui attività sono state coordinate, per il nostro istituto, dal professore Mario Minarda, la classe III^B dell’indirizzo liceo classico ha presentato alcuni lavori relativi a due testi dell’autrice romana: le poesie di Alibi (1958) e la raccolta di scritti critici Pro o contro la Bomba atomica e altri saggi (1987) . Vi presentiamo qui di seguito una delle tre relazioni che è stata presentata e letta al convegno.

Il gruppo al completo insieme al prof.Mario Minarda

Tendenza all’autodistruzione della società contemporanea, letteratura e noi.

   Certamente Pro o contro la Bomba Atomica è da considerarsi come uno dei più importanti scritti di Elsa Morante, in quanto in esso l’autrice si propone di dare una definizione del suo ruolo e del suo modo di scrivere.

   Il saggio risale agli anni compresi tra il 1965 e il 1967, quando venne esposto per la prima volta in alcune conferenze tenute a Roma, a Milano e a Torino. Il testo venne poi incluso, nel 1987, in un volume dal titolo omonimo, che contiene tutti i saggi più importanti prodotti dalla scrittrice.  Il testo fornisce una definizione del ruolo dello “scrittore”, da non confondersi con la figura del “letterato”: un individuo, quest’ultimo, che si interessa esclusivamente di letteratura , pur trovandosi immerso dentro una “società atomica”, ovvero un particolare tipo di comunità figlia dell’omonima era, depositaria di valori contorti e fondata su illusioni.

   Le scoperte avvenute tra la fine del XIX e gli albori del XX secolo in campo psicologico e, più precisamente, psicoanalitico, vengono utilizzate dalla Morante con la finalità di spiegare quella tendenza all’autodistruzione tipica dell’uomo e trasversale ai tempi. Benché si possa supporre che questa pulsione di morte, così chiamata dall’autrice stessa, sia nata solamente in seguito allo sviluppo e all’uso delle armi nucleari, è doveroso sottolineare come essa sia presente da sempre nel subconscio umano sotto forma di potenza, secondo la teoria aristotelica della potenza e dell’atto, e che l’avvento dell’epoca atomica sia stata la chiave per convertire la potenzialità di thanatos in atto. Si può quindi affermare che, dal punto di vista dell’autrice, la collettività umana sia una collettività di carattere Freudiano, dato che fu  proprio lo psicoanalista austriaco il primo a formulare la celeberrima teoria antitetica fondata sulla diade Eros-Thanatos, anche chiamata Pulsione di vita e Pulsione di morte.

   La tesi della scrittrice romana è ulteriormente sostenuta dal fatto che: “Si potrebbero/leggere le Sacre scritture di tutte le religioni nell’interpretazione presunta che tutte/insegnino l’annientamento finale come l’unico punto di beatitudine possibile”. Si avrebbe così una analogia tra Istinto di morte e Istinto del Nirvana, la cui unica differenza sta nel mezzo usato dall’essere umano per raggiungere il suddetto: secondo l’Istinto del Nirvana la meta finale può essere raggiunta tramite l’unificazione della propria mente; secondo la pulsione di Morte invece la beatitudine è raggiungibile solo grazie alla disintegrazione della propria coscienza.

   Ricongiungendosi al discorso iniziato poc’anzi riguardo alla potenzialità di questo istinto, oserei aggiungere all’argomentazione di Elsa Morante un’ulteriore chiave in grado di tradurre la potenza in atto: la tendenza al superamento di sé, che potrebbe esser chiamata “Istinto di autosuperamento”. Come già affermato circa due millenni e mezzo fa dal filosofo Protagora di Abdera, uno dei più importanti sofisti greci, l’uomo tende a relativizzare tutto ciò che gli sta attorno, divenendo misura di tutte le cose, ed è perciò inevitabile che esso, ad un certo punto, in mancanza di qualcosa o qualcuno con cui relazionarsi, si ponga in relazione con sé stesso. Egli, tentando di superare i suoi limiti a qualunque costo, andrà irrimediabilmente incontro all’auto-disintegrazione. Non è allora un caso che l’autrice abbia sottolineato che: “Il primo germe di questa tentazione è spuntato fatalmente nel nascere della specie umana, e si è sviluppato con lei”. Questa frase è certamente supportata da molteplici testimonianze presenti sia nella storia che nella letteratura. Da un punto di vista storico, potremmo senza dubbio sostenere che il saggio scritto dalla Morante sia una aperta denuncia nei confronti della più importante e pericolosa conseguenza dell’avvento dell’epoca atomica: la guerra fredda. Non è incidentale che questo saggio sia stato scritto e presentato tre anni dopo l’apice della tensione di questo periodo: la crisi missilistica di Cuba. Un lampante esempio di autosuperamento e conseguente autodistruzione è peraltro la fine di questo conflitto mai scoppiato: la caduta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, avvenuta nel 1991. D’altro canto, una celebre testimonianza di questa teoria a livello letterario la si può invece ritrovare nel famosissimo romanzo di Fyodor Dostoevskij “Delitto e castigo”, nel quale il protagonista, Raskol’Nikov, tentando di dimostrare la propria superiorità e di eccedere i suoi limiti, uccide una vecchia signora. Un atto che porterà alla sua rovina: egli verrà infatti condannato al lavoro forzato in Siberia. Una sorta quindi di autodistruzione che avviene perché si è oltrepassata la misura.

   Questo fondamentale eppure latente pessimismo rivelato dall’autrice nei confronti della società è momentaneamente abbandonato nel momento in cui è presentata una “cura” a questa pulsione di disintegrazione: l’arte. Ecco infatti quanto riportato nel testo:

L’arte è il contrario della disintegrazione. E perché? Ma semplicemente perché la ragione propria dell’arte, la sua giustificazione, il suo solo motivo di presenza e sopravvivenza, o, se si preferisce, la sua funzione, è appunto questa: di impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso col mondo; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, e usata, dei rapporti esterni, l’integrità del reale, o in una parola, la realtà stessa.

   La Morante afferma che la funzione dell’arte sia quella di impedire l’autodistruzione della coscienza tramite la rappresentazione della realtà. La realtà è posta in contrapposizione alla morte, alla distruzione, in quanto “la realtà è l’integrità stessa”. Solo in seguito a questa affermazione ci viene finalmente esplicitato il ruolo della figura dello scrittore: un individuo consapevole dell’illusione (Thanatos) che si occupa della realtà, ovvero dell’arte nel suo senso più lato. Ma, per riprendere il binomio di partenza, lo scrittore è altresì, a differenza del letterato, un essere umano che resta visceralmente attaccato alle concrete cose del mondo; che unisce e non distrugge; che crea intensi legami e forti comunità; che avverte tutta la tensione etica di ciò che gli accade intorno. La parola affidata alla scrittura sembra allora ribadire la Morante,  serve a resistere all’ incipiente furor distruttivo proprio del moderno e a restituire , seppure in forma variegata, complessa e contraddittoria,  le avventurose  e funamboliche sfumature di vita che, nostro malgrado, ci attraversano ogni giorno.

di Iacopo Meli, III B

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