Genius loci è un racconto di racconti, intrecciati tra loro, tenuti insieme da alcuni concetti fondamentali. Anzitutto i libri: Genius loci è una insistente, bellissima, instancabile esortazione alla lettura. Non è un caso, infatti, che la parola “libri” sia posta ad incipit del sottotitolo dell’opera. La lettura come via di fuga, spazio terzo in cui rifugiarsi, strumento attraverso cui conoscere se stessi e comunicare, amare e intessere legami, spesso inconsapevoli, con gli altri. I libri come salvezza. Salvezza da che cosa? Dal senso di inadeguatezza, derivante dal «profondo disagio di non riuscire a scrollarci dall’anima la nostra interfaccia proletaria con Bagheria» scrive l’autore. E tuttavia, quel senso di inadeguatezza ha generato il desiderio di provare a comprendere e ha costituito il primo ingranaggio di un motore: quello della lotta di classe, portata avanti dal lavoro indefesso dei padri prima, che ha consentito l’accesso allo studio ai figli poi, nel «miraggio del conoscere che eleva a una condizione di maggiore dignità dello stare al mondo».
Genius loci è anche un libro a più voci e tra tutte spiccano quelle di Enzo D’Alessandro e Ferdinando Scianna. Entrambi parlano di Sciascia e del suo rapporto con diversi intellettuali baarioti. Questo, infatti, rappresenterebbe il nucleo fondante dell’opera. La narrazione sembra svilupparsi a spirale. Si esordisce con un’immagine, una fotografia immaginaria che ritrae tre uomini (che scopriremo poi essere Leonardo Sciascia, Enzo D’Alessandro e il pittore ligure Giacomo Porzano); si prosegue con i vari racconti, puntualmente interrotti e poi ripresi, via via completati, fino a quando il plot del romanzo non inizia a districarsi. La maggior parte di questi racconti sono ambientati, o in qualche modo hanno a che fare, con la città di Bagheria, la Bagheria degli anni Cinquanta e Sessanta. Periodo storico, quello, che Padovano non ha mai vissuto in prima persona a causa, scrive lui, di un «testacoda del destino». Destino è un’altra parola chiave del libro. In Genius loci si osserva come le vite, i destini, appunto, degli altri possano incrociarsi con il nostro e segnarlo inesorabilmente. Il più delle volte ciò avviene senza puntuale contezza, siamo in grado di prenderne coscienza, di rimettere insieme i pezzi soltanto dopo anni e/o a seguito di determinati eventi che accendono in noi la scintilla, senza la quale, altrimenti, non avremmo iniziato a scavare e scovare nel passato.
Dove tutto ha avuto inizio? E quando, a partire da che cosa? Queste le domande che Padovano si pone nel corso delle pagine. Come è iniziato l’amore per i libri, per il cinema, per la musica; il legame, seppur mai colmato in un incontro fisico, con Leonardo Sciascia; l’odi et amo per Bagheria. Nel tentativo di dare una risposta a tali quesiti, l’autore ripercorre le sue vicende personali e quelle di coloro che ha incontrato – sia pure in diversi modi – senza mai dimenticare di inserirle in un contesto più ampio: la narrazione non scade mai nella mera aneddotica. Anzi, spesso è proprio tramite questo espediente narrativo che l’autore riesce a trasformare il racconto personale – che sembra collocarsi a metà tra ricordo ed immaginazione – in riflessione ad ampio spettro.
Ricordo ed immaginazione: così si sviluppa Genius loci. Si comincia dal narrare i propri o gli altrui ricordi e, laddove la memoria non restituisce (perlomeno non abbastanza), è l’immaginazione a sopperire. Il ricordo di un amico stimola l’immaginazione di una fotografia in bianco e nero; quella stessa fotografia, forse ora a colori, nell’epilogo sembra più delineare il profilo di un sogno.
Beatrice Brancato